Nella speranza che la superba serie diretta da Joe Wright, appena messa in testa alla classifica dei tv show del 2025 da The Hollywood Reporter, trovi il modo di avere una seconda stagione, proviamo a soffermarci sulle opere d’arte scelte e sui luoghi utilizzati e per girare le otto puntate della prima.
Nella finzione, M. Il figlio del secolo, tratta dal primo dei cinque volumi del romanzo di Antonio Scurati incentrato sulla vita di Benito Mussolini, passa da Milano a Roma per raccontare i primi cinque anni dell’ascesa al potere del protagonista interpretato da un eccezionale Luca Marinelli, dalla fondazione dei Fasci italiani di combattimento (23 marzo 1919), quando era ancora direttore de Il Popolo d’Italia, al suo arresto dopo la vittoria dei socialisti, dalla marcia su Roma alla nomina di presidente del Consiglio fino all’omicidio Matteotti (10 giugno 1924). Gli spazi urbani, soprattutto quelli milanesi, sono trasfigurati da una messa in scena surreale e angosciante, ricostruita in studio e per questo poco utile al nostro discorso, così come sono ininfluenti gli appartamenti dove vive Rachele Guidi in Mussolini (Benedetta Cimatti) in quegli anni a Predappio, Forlì e poi Milano, ma che nella serie risultano spazi anonimi.
Sono quindi gli interni, tra palazzi del potere e appartamenti privati, che rappresentano il principale terreno di questo approfondimento, a partire dall’appartamento di Margherita Sarfatti (Barbara Chichiarelli), la critica d’arte veneziana, di ricca famiglia ebraica e amante del duce, che è un piccolo capolavoro scenografico e artistico.
In quello che fu un prestigioso salotto culturale, che nella realtà era in Corso Venezia a Milano, vengono ambientate diverse sequenze della serie, tra cui alcune feste che tra gli ospiti vedono protagonisti personaggi del calibro di Filippo Tommaso Marinetti (Stefano Cenci) e in cui lo stesso Mussolini viene “incastrato” per le sue dubbie capacità di suonatore di violino. L’ambiente principale celebra la Wiener Werkstätte (1903-1932), letteralmente “officina viennese”, composta da artigiani-alchimisti che nei primi anni del Novecento trasformarono il design in un atto di rivolta.
Lo scenografo Mauro Vanzati è andato ben oltre la realtà, perché la casa di Sarfatti non aveva nulla di quello che lui mette in scena: pavimenti, carta da parati e divani bianco e neri, sagomati con losanghe, foglie e finti effetti di craquelure, dominano quell’ambiente.
Sono pattern che riprendono le idee di Josef Hoffmann, uno dei due fondatori della Wiener Werkstätte – l’altro era Koloman Moser – che odiava le linee curve ed era ossessionato da linee verticali e ortogonali che creavano meandri, labirinti e scacchiere. Ne risulta un salotto ipnotico che nella serie funziona magnificamente a disorientare e affascinare insieme lo spettatore, che si perde in quei gineprai grafici.
Nella seconda puntata, in particolar modo, mentre Marinetti interpreta La Battaglia di Adrianopoli e ripete ossessivamente “vampe, vampe, vampe” che rimandano alle bombe e alle esplosioni, qua e là ci sono dipinti e sculture che completano l’arredamento. Su un tavolo, per esempio, si intravede una scultura in marmo che sembra un uccello stilizzato, molto simile alla famosa Maiastra di Costantin Brancusi (New York, MoMA, 1912), ma con il collo più lungo.
Lo straordinario lavoro di Vanzati si apprezza anche alle pareti, dove tra le diverse tele si riconoscono almeno tre dipinti futuristi, come Idolo moderno di Umberto Boccioni (Londra, Estorick Collection of Modern Italian Art, 1911, vedi) e I capelli di Tina di Luigi Russolo (1906), entrambi presentati all'Esposizione d'arte libera, prima collettiva futurista, allestita nel 1911 a Milano, nell'ex Stabilimento Ricordi - e messi in connessione già dai cataloghi dell'epoca -, mentre sopra una consolle, dove più avanti vedremo due menorah sempre accese, campeggia Gialli-violetti di Gerardo Dottori (1923). Quest'ultimo dipinto, recentemente andato in mostra nel 2017 al Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto di Torino (link), in scena lascia dubbi: è possibile, infatti, che sia stato appeso a testa in giù, perché nei cataloghi del pittore perugino è orientato diversamente, un errore frequente con i dipinti astratti.
Gaetano Bruno interpreta Giacomo Matteotti - © Andrea Pirrello
Per l’appartamento privato di Mussolini, invece, la scenografia ha scelto due dipinti settecenteschi, di stile rococò. In una delle prime puntate vediamo la Toletta di Venere di François Boucher (New York, Metropolitan Museum, 1751), commissionata da Madame Pompadour per il suo amante più prestigioso, Luigi XV, una tela di taglio verticale, qui reso orizzontale incorniciando una riproduzione della sola parte centrale dell’opera. Più avanti, a partire dall’apertura del quinto episodio, sopra un sofà su cui è il protagonista, compare un capolavoro ben più noto, come L’altalena di Jean-Honoré Fragonard (Londra, Wallace Collection, 1767), che palesa un triangolo amoroso inconsapevole, con una dama spinta sull’altalena dal marito e osservata dal basso e sul lato opposto dall’amante (non a caso il dipinto è noto anche con il titolo Le felici occasioni dell'altalena).
È, però, la quarta puntata quella più ricca di luoghi che destano interesse, a partire dalla serata al San Carlo di Napoli, dove Mussolini assiste a Madame Butterfly di Giacomo Puccini il 24 ottobre 1922. Oltre ai palchi del teatro partenopeo è ben riconoscibile il sipario realizzato nel 1854 da Giuseppe Mancinelli, direttore della Scuola di Disegno dell'Istituto di Belle Arti, raffigurante il Parnaso.
Sono i giorni immediatamente precedenti alla marcia su Roma, quelli in cui va in scena la violenza delle camicie nere, che prima si radunano in aperta campagna al grido di “a chi la vittoria? A noi”, laddove le strutture antiche che fanno da fondale ci svelano il Parco degli acquedotti a Roma; e subito dopo si lasciano andare a urla e schiamazzi, utilizzando Palazzo Farnese a Caprarola come un monumentale orinatoio dileggiato con mefistofelica ritualità. Resta una curiosità: la facciata progettata da Jacopo Barozzi da Vignola per Alessandro Farnese il Giovane, nipote di Paolo III, nella scena in questione appare con una modifica che dopo la doppia rampa di scale ci mostra un muro curvo balaustrato che nella realtà non c'è! Si tratta di una grande ricostruzione scenografica, di una modifica fatta sul posto o di un'imagine lavorata in CGI? Per risolvere l'enigma ci riserviamo di chiedere a Vanzati e ai suoi collaboratori.
Nella stessa puntata, infine, donna Rachele a Milano si rifugia nella preghiera, ma l’altare barocco ricco di raggi dorati davanti al quale la vediamo inginocchiarsi è in realtà quello della chiesa romana di Santa Maria in Portico in Campitelli, di cui Alessandro VII Chigi commissionò la ricostruzione, come ringraziamento per la fine della peste del 1656, a Carlo Rainaldi (1661-1667).
Dato l’argomento della serie, però, i luoghi del potere rivestono un ruolo particolarmente rilevante all’interno della narrazione e meritano un approfondimento specifico…